La diagnosi
di disabilità come momento critico nella storia
familiare
A. M. Sorrentino
Si intende sottolineare col presente lavoro l’importanza
di un approccio terapeutico alla famiglia, durante
la presa in carico di situazioni di handicap di pazienti
in età evolutiva.
La famiglia infatti appare struttura complessa, messa
a dura prova dalla malattia invalidante, sofferente
allo stesso modo del paziente stesso e quindi meritevole
di cura.
Tuttavia la famiglia si può anche considerare
come risorsa fondamentale nelle situazioni di handicap
e come interlocutore necessario della struttura riabilitativa.
L’interfaccia tra i due sistemi interazionali,
la struttura sanitaria e la famiglia, appare particolarmente
significativa nel momento del pronunciamento diagnostico.
Vengono date indicazioni operative perché tale
momento possa essere utilmente gestito.
Adolescenza
e stato cognitivo limite: prospettive di intervento
familiare
E. Maino – U. Talpone
Uno degli scopi del presente contributo è quello
di descrivere – sulla base dell’esperienza
derivante dal nostro lavoro presso diversi centri
di riabilitazione dell’Associazione “La
Nostra Famiglia” – alcune delle dinamiche
presenti all’interno di nuclei familiari con
un figlio adolescente con un Funzionamento Intellettivo
Limite. Abbiamo deciso di considerare tale deficit
perché il suo presentarsi come deficit poco
visibile e facilmente minimizzabile ha una forte ripercussione
sulle richieste prestazionali fatte a chi ne è
portatore, soprattutto durante un periodo di forti
cambiamenti a livello individuale e familiare come
quello adolescenziale.
In particolare abbiamo considerato quei nuclei familiari
che giungono alla nostra attenzione di psicologi e
psicoterapeuti della famiglia, in cui non è
presente per il figlio una diagnosi di psicopatologia
franca, né una situazione cronicizzata di disagio,
ma dove piuttosto si evidenzia un blocco di quelle
risorse che consentono di affrontare e superare in
modo flessibile e creativo i momenti di passaggio
evolutivo.
A partire dalla nostra esperienza clinica e dalla
letteratura abbiamo identificato come una delle possibili
cause di questo blocco evolutivo la mancanza di comunicazione
e condivisione emotiva, derivante il più delle
volte dall’aver sperimentato e dal continuare
a riproporre lungo le generazioni un pattern di attaccamento
di tipo evitante.
Dal nostro punto di vista, il counselling ad orientamento
sistemico – come abbiamo cercato di evidenziare
nelle storie cliniche riportate – può
essere considerato un’efficace modalità
operativa per sbloccare le risorse e aiutare ciascun
componente della famiglia a far fronte alla crisi.
La condivisione
del dolore in coppie con un figlio disabile
E. Maino
Il presente contributo si propone di presentare i
risultati di una ricerca – condotta presso il
Servizio di Psicologia della Famiglia dell’IRCCS
“E. Medea” – i cui obiettivi erano,
da un lato, quello di verificare le possibili ripercussioni
di una diversa origine eziopatogenentica della disabilità
per un figlio sul singolo genitore, dall’altro
quello di identificare possibili fattori protettivi
per la stabilità della relazione di coppia.
In particolare, si voleva verificare se la possibilità
di legittimare e dare voce a emozioni e sentimenti,
nonché la possibilità di condividere
quanto provato con il proprio partner, potessero costituire
un importante aiuto nell’affrontare e dare un
senso ad un avvenimento così doloroso e difficile
da accettare quale è quello della nascita di
un figlio disabile e nel favorire il mantenimento
di un legame di coppia supportivo.
I risultati ottenuti hanno evidenziato nei genitori
con un figlio con paralisi cerebrale infantile la
centralità degli aspetti emotivi e l’importanza
della loro condivisione come fattore protettivo per
la stabilità della relazione coniugale; nei
genitori con un figlio con sindrome malformativa,
benché sia presente e possa considerarsi un
fattore protettivo per la stabilità del rapporto
la capacità di condividere con l’altro
i propri vissuti emotivi, emerge una modalità
di risposta agli eventi e alle relazioni centrata
sulla razionalità e sulla capacità di
valorizzare e accettare l’altro anche nei suoi
limiti; infine nei genitori con figli sani i dati
della ricerca mettono in luce la presenza di un’intimità
che ha come punto di forza la capacità di esprimere
all’altro i propri pensieri e vissuti, ma non
la capacità di condividere i dolori. I risultati
ottenuti, benché necessitino di ulteriori approfondimenti,
presentano notevoli implicazioni.
Approccio trigenerazionale
al lutto familiare
A. Canevaro
L’articolo prende in considerazione il ruolo
che le risorse delle Famiglie di Origine (FO) possono
ricoprire nello sblocco di processi terapeutici familiari
fallimentari o in empasse terapeutica, anche durante
una psicoterapia familiare svolta solo col gruppo
familiare nucleare.
Malgrado la famiglia sia il luogo naturale dove si
elabora una perdita, questo argomento è stato
affrontato più dagli autori psicodinamici che
da quelli sistemico-relazionali. L’Autore espone
alcuni presupposti teorici sia di psicoanalisti che
di terapeuti familiari sistemici e descrive una consulenza
per un caso molto grave di lutto patologico in uno
dei genitori di un figlio unico morto in circostanze
drammatiche. Nel corso dell’intervento vengono
convocate le FO e in un formato già collaudato
di approccio trigenerazionale si riesce a stimolare
le risorse familiari che favoriscono un riscatto terapeutico.
Un follow-up immediato a 3 mesi e tardivo a 7 anni
dimostra il rientro di una grave patologia e la nascita
di una elaborazione quasi normale del lutto nella
coppia genitoriale.
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