Già a 12 mesi è possibile capire se esistono difficoltà di elaborazione sensoriale che anticipano il disturbo. Lo dice uno studio dell’IRCCS Medea pubblicato su Infancy.
I nostri sensi lavorano insieme per aiutarci a percepire tutte le informazioni che ci vengono presentate dall’ambiente.
Già dai primissimi mesi di vita, il bambino è chiamato a elaborare e integrare stimoli visivi e uditivi (come il viso della mamma che gli sta parlando) e questa abilità di integrazione è fondamentale per il successivo sviluppo cognitivo, comunicativo e sociale.
Ma come avviene questa elaborazione sensoriale nei neonati a rischio di autismo?
Il gruppo di ricerca del Babylab dell’IRCCS Medea ha indagato le risposte cerebrali relative alle abilità di integrazione sensoriale nei fratellini di bambini con autismo, che hanno la probabilità di ricevere a loro volta una diagnosi di autismo decisamente superiore rispetto alla popolazione con sviluppo tipico (1:5 rispetto alla popolazione generale in Italia che è di 1:77).
Lo studio, il primo in Italia in questo ambito, è stato pubblicato sulla rivista Infancy, giornale ufficiale dell’International Congress of Infant Studies.
L’esperimento attraverso un’illusione psicolinguistica
I ricercatori, mediante tecniche elettrofisiologiche, hanno indagato l’abilità di integrare le informazioni visive e uditive nei bambini di 12 mesi. I piccoli sono stati sottoposti ad un’illusione psicolinguistica (definita effetto McGurk): mostrando loro il video di una persona che pronuncia le sillabe PA e KA, sono stati creati degli stimoli congruenti (il movimento della bocca corrisponde al suono della sillaba) e degli stimoli incongruenti (in cui movimento e suono non corrispondono).
Ebbene, quando si crea un’incongruenza, solitamente viene percepita una sillaba che è una via di mezzo tra le due: questo è indice di una buona integrazione visuo/uditiva.
Come rispondono i bambini a rischio di fronte a questa illusione?
I fratellini dei bambini con diagnosi di autismo non sembrano percepire questa incongruenza e presentano delle risposte cerebrali diverse rispetto ai bambini con sviluppo tipico: già a 12 mesi è possibile vederlo grazie a tecniche elettrofisiologiche. La cosa interessante è che questa ridotta risposta neurale si associa a un profilo clinico di iposensorialità, cioè ad una ridotta reazione agli stimoli sensoriali.
“Nell’ambito del disturbo dello spettro autistico – commentano i ricercatori del BabyLab - l'individuazione precoce del rischio e un intervento tempestivo e individualizzato sul bambino rappresentano la direzione più innovativa e promettente nella quale si stanno muovendo gli sforzi della ricerca scientifica. L’ulteriore elaborazione di questi dati permetterà di prevenire il progressivo sviluppo di anomalie socio-comunicative, e quindi avere un impatto positivo sulla qualità di vita delle persone con autismo e delle loro famiglie”.
Lo studio Medea e il network NIDA
Nel quadro complessivo dell’attività di ricerca del Babylab si colloca la collaborazione con il Network Italiano per il Riconoscimento Precoce dei Disturbi dello Spettro Autistico (NIDA). L’IRCCS Medea, infatti, fa parte della rete dei centri di ricerca istituita dall’Istituto Superiore di Sanità finalizzata all'identificazione precoce.
Link all’articolo Atypical ERP responses to audiovisual speech integration and sensory responsiveness in infants at risk for autism spectrum disorder