Nella vita di tutti i giorni, per poter interagire efficacemente con gli altri, abbiamo bisogno di decifrare le intenzioni sottostanti le loro azioni.Per poter reagire in tempo con una risposta adeguata non basta, però, semplicemente capire cosa una persona ha appena fatto, ma è necessario prevedere in anticipo cosa l'altro sta per fare. Per prevedere in anticipo lo svolgimento di un’azione, il nostro cervello integra le informazioni che provengono dal modo in cui l’altro esegue un movimento con le aspettative suggerite dal contesto in cui si sta svolgendo quell’azione. Gli oggetti presenti in un determinato contesto possono infatti suggerire quali siano le azioni più plausibili in quella situazione, sulla base di precedenti esperienze analoghe, con il vantaggio di avere già queste informazioni prima che l’altro inizi a muoversi e prima ancora di entrare in un contesto sociale. Abbiamo, infatti, tutti idea di cosa possiamo aspettarci da un/una cameriere/a quando entriamo in un ristorante, da un/una commesso/a in un negozio o da un medico durante una visita, e questo ci aiuta a comprendere immediatamente quello che sta facendo a un semplice accenno del gesto.
Anche se questi processi di integrazione si verificano di solito in maniera automatica, senza cioè che nella maggior parte delle persone ci sia un ragionamento consapevole, queste abilità possono essere compromesse in alcuni disturbi del neurosviluppo, come nel disturbo dello spettro autistico. Le conseguenze di ciò possono essere notevoli, come dimostrato dalle difficoltà sociali in generale e, nello specifico, dalle difficoltà di queste persone ad anticipare i comportamenti degli altri. Capire quali siano i meccanismi alla base di queste abilità può aiutare a definire possibili interventi adeguati a compensare queste carenze.
Modelli classici del riconoscimento di azioni attribuiscono il riconoscimento del movimento delle altre persone a una via dorsale di elaborazione delle informazioni nel cervello, che dalla corteccia visiva trasmette le informazioni alle aree fronto-parietali che fanno parte del sistema dei neuroni specchio.
L’elaborazione delle aspettative contestuali sulla base degli oggetti presenti nel contesto, invece, viene principalmente attribuita a una via ventrale, che dalla corteccia visiva trasmette le informazioni alle aree temporali per riconoscere gli oggetti. Queste due vie hanno una preferenza per diverse frequenze spaziali che sono contenute negli stimoli visivi. La via dorsale elaborerebbe prevalentemente informazioni visive con basse frequenze spaziali, simili ad immagini un po' sfuocate che evidenziano per lo più grossi contorni, come quando abbiamo l’impressione di qualcosa che si muove alla periferia del campo visivo. La via ventrale, invece, elaborerebbe preferibilmente le informazioni visive contente alte frequenze spaziali, ossia immagini con contorni ben definiti che mettono in evidenza i piccoli dettagli, come quello che vediamo quando ci giriamo e focalizziamo lo sguardo su qualcosa. La corteccia prefrontale integrerebbe le aspettative basate sul contesto (trasmesse dalla via ventrale) con il riconoscimento del movimento (all’interno della via dorsale), facilitando il riconoscimento di azioni più plausibili, vale a dire quelle suggerite dal contesto.
In questo studio, realizzato da Lucia Amoruso, Alessandra Finisguerra e Cosimo Urgesi in collaborazione tra l’IRCCS Eugenio Medea-Associazione La Nostra Famiglia e l’Università di Udine, abbiamo cercato di verificare sperimentalmente l’esistenza di un’altra via per il riconoscimento delle azioni in base al contesto. Sulla base di studi su modelli animali e su pazienti, abbiamo infatti ipotizzato l’esistenza di una via che, sulla base delle informazioni a basse frequenze spaziali elaborate dalla via dorsale, trasmetterebbe alla corteccia prefrontale informazioni contestuali relative all’identità degli oggetti presenti nel contesto in cui l’azione si sta svolgendo. Poiché l’elaborazione di tali informazioni a basse frequenze spaziali è più veloce di quelle a alte frequenze, l’elaborazione delle aspettative contestuali sarebbe ancora più facilitata, consentendo l’elaborazione di una rapida risposta, senza concentrare lo sguardo su tutto quello che ci circonda.
Ci siamo concentrati sulle connessioni tra la via dorsale e la via ventrale con la corteccia prefrontale e abbiamo usato una tecnica di modulazione dell’attività cerebrale, la stimolazione magnetica transcranica tramite un protocollo di continuous theta burst stimulation, che ci permette di capire come, inattivando la corteccia prefrontale, cambi il riconoscimento delle azioni a seconda delle informazioni trasmesse dalle vie dorsale e ventrale. Dopo aver interferito, in diversi gruppi di partecipanti, con l’attività della corteccia
prefrontale di destra o di sinistra, abbiamo loro presentato dei video di un attore che compiva diverse azioni in contesti congruenti, ad esempio prendere dal suo manico come per bere una tazza piena di caffè, o incongruenti, ad esempio prendere dal manico come per bere una tazza vuota. Ai partecipanti abbiamo chiesto di predire l’intenzione dell’attore. Per analizzare separatamente il contribuito della via dorsale e della via ventrale al riconoscimento di azioni, abbiamo sfruttato la diversa preferenza delle due vie, rispettivamente, a basse o alte frequenze spaziali. Poiché, come abbiamo detto, la via dorsale elabora preferibilmente le informazioni visive a basse frequenze spaziali, se la corteccia prefrontale utilizza effettivamente queste rappresentazioni per formulare delle previsioni sul comportamento dell’altro, interferendo con l’attivazione della corteccia prefrontale dovremmo impedire il riconoscimento delle informazioni visibili in immagini con basse frequenze spaziali. Al contrario, per quanto riguarda la connessione tra la corteccia prefrontale e la via ventrale, dopo aver ridotto l’attivazione della corteccia prefrontale, dovrebbe verificarsi una compromissione nell’abilità di elaborazione delle informazioni visibili nelle immagini con alte frequenze spaziali. I video, quindi, erano stati modificati in modo da contenere solo le basse frequenze spaziali, elaborate dalla via dorsale, o le alte frequenze spaziali, elaborate dalla via ventrale. Rispetto ad una condizione di controllo nella quale stimolavamo un’area del cervello non coinvolta nel processo in esame, abbiamo visto che, dopo aver interferito sull’attivazione della corteccia prefrontale di destra o di sinistra, la prestazione dei partecipanti peggiorava nelle prove in cui il contesto era incongruente con la cinematica osservata. Abbiamo però anche visto che interferendo con l’attivazione della corteccia prefrontale di destra e quella di sinistra si producevano delle alterazioni diverse nel comportamento dei partecipanti a seconda delle frequenze spaziali contenute nelle immagini. Quando l’interferenza riguardava la corteccia di sinistra, peggiorava la prestazione nelle prove che richiedevano il riconoscimento delle azioni in base alle alte frequenze spaziali, che sono prevalentemente trasmesse tramite la via ventrale. Al contrario, quando l’interferenza riguardava la corteccia di destra, a peggiorare era la prestazione per le prove che richiedevano il riconoscimento delle azioni sulla base delle basse frequenze spaziali, che invece sono prevalentemente elaborate tramite una via dorsale. Questi risultati confermerebbero che sia la via ventrale (come dimostrato dal peggioramento della prestazione dopo lesione alla corteccia di sinistra per le informazioni ad alta frequenza spaziale) sia quella dorsale (come dimostrato dal peggioramento per basse frequenze spaziali dopo lesione della corteccia di destra) contribuiscono al riconoscimento delle azioni tramite indizi contestuali. I risultati ci dicono inoltre che, usando delle frequenze spaziali diverse per il riconoscimento delle azioni, la corteccia prefrontale di sinistra e quella di destra sono collegate in maniera diversa alle vie che permettono il riconoscimento delle azioni. La diversa sensibilità dell’emisfero destro e di quello sinistro ad informazioni a basse ed alte frequenze spaziale sarebbe in linea con alcune dissociazioni in pazienti neuropsicologi con difficoltà nella rappresentazione del gesto e dell’uso degli oggetti, come nelle aprassie. Il dato non è solo rilevante per capire come il nostro cervello ci consenta di capire i comportamenti degli altri, ma fornisce anche indicazioni utili per la riabilitazione dei disturbi della percezione sociale, da un lato, e della rappresentazione delle azioni, dall’altro. Percorsi di riabilitazione basati sull’esposizione alle alte o alle basse frequenze spaziali potrebbero permettere di rafforzare l’uso della via dorsale o della via ventrale e compensare i deficit nell’elaborazione delle informazioni contestuali come nel caso del disturbo dello spettro autistico o nell’uso di oggetti in pazienti con aprassia in seguito a lesione cerebrale.
Articolo originale: Amoruso L, Finisguerra A, Urgesi C. "Left and right prefrontal routes to action comprehension". Cortex. 2023 Jun;163:1-13.
JCR Impact Factor 2022: 3.600
Scrivi all'autore: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.